ciao, Ciumpa
Dovevo scoprirlo così? Con il picchetto d’onore schierato, le bandiere inclinate, le penne nere allineate sui cappelli e la preghiera dell’alpino recitata al termine del tuo funerale. Che sei un alpino, anche tu come papà, non me lo hai mai detto. Eppure chiacchiere ne abbiamo scambiate, in tanti anni di amicizia.
Non ti vedrò più e non ci credo: ogni anno eri il primo che incontravo appena arrivata qui, al mare; un benvenuto in carne, ossa e occhi azzurri vispi, curiosi, che ridevano pure loro, contenti di vedermi; ogni volta ci fermavamo a raccontarci l’inverno appena passato, a dirci dei programmi per l’estate in arrivo, a ricordare i bei tempi della mia gioventù e della tua piena attività, nonostante qualcuno dica che facevi lavorare gli altri… sempre con il sorriso. Quante volte hai messo in mare il gozzo di questo e di quello, ci hai spinto via, ci hai ripreso al rientro; mi guardavi saltar giù dalla barca: ero agile allora e tu la simpatia in persona.
Ti ho sorpreso, lo so, te l’ho letto in volto, non te lo aspettavi, quando mi hai visto entrare dalla porta della tua camera in ospedale: ero venuta a trovarti perché ti eri rotto il naso in un incidente in motorino. In fondo, ero una foresta ma – credo – che quella volta tu ti sia davvero convinto che un pochino ero diversa. E me lo hai sempre “detto” con il tuo modo gentile, educato, simpatico.
Era una certezza incontrarti, sapere che c’eri, che ci saremmo salutati con la stessa gioia di rivederci. Te l’ho riletta in volto ancora quando ti ho rivisto, cambiato nel fisico, ma identico nello sguardo, nella battuta pronta, nell’ironia. È un paradosso il fatto che, quando si abita nello stesso luogo, si rischi di incontrarsi meno spesso di quando lo si frequenta solo in certi periodi dell’anno; ma le cose erano un po’ cambiate, mancava soprattutto l’agilità nei movimenti di entrambi. Però lo spirito e la voglia di raccontarci sono sempre stati gli stessi.
Mi sei passato davanti, coperto di fiori. Ti ho salutato. E non ti dimenticherò.
Ciao, Ciumpa.
Non ti vedrò più e non ci credo: ogni anno eri il primo che incontravo appena arrivata qui, al mare; un benvenuto in carne, ossa e occhi azzurri vispi, curiosi, che ridevano pure loro, contenti di vedermi; ogni volta ci fermavamo a raccontarci l’inverno appena passato, a dirci dei programmi per l’estate in arrivo, a ricordare i bei tempi della mia gioventù e della tua piena attività, nonostante qualcuno dica che facevi lavorare gli altri… sempre con il sorriso. Quante volte hai messo in mare il gozzo di questo e di quello, ci hai spinto via, ci hai ripreso al rientro; mi guardavi saltar giù dalla barca: ero agile allora e tu la simpatia in persona.
Ti ho sorpreso, lo so, te l’ho letto in volto, non te lo aspettavi, quando mi hai visto entrare dalla porta della tua camera in ospedale: ero venuta a trovarti perché ti eri rotto il naso in un incidente in motorino. In fondo, ero una foresta ma – credo – che quella volta tu ti sia davvero convinto che un pochino ero diversa. E me lo hai sempre “detto” con il tuo modo gentile, educato, simpatico.
Era una certezza incontrarti, sapere che c’eri, che ci saremmo salutati con la stessa gioia di rivederci. Te l’ho riletta in volto ancora quando ti ho rivisto, cambiato nel fisico, ma identico nello sguardo, nella battuta pronta, nell’ironia. È un paradosso il fatto che, quando si abita nello stesso luogo, si rischi di incontrarsi meno spesso di quando lo si frequenta solo in certi periodi dell’anno; ma le cose erano un po’ cambiate, mancava soprattutto l’agilità nei movimenti di entrambi. Però lo spirito e la voglia di raccontarci sono sempre stati gli stessi.
Mi sei passato davanti, coperto di fiori. Ti ho salutato. E non ti dimenticherò.
Ciao, Ciumpa.
["rubo" il tuo sguardo dal ricordo di un amico]