rileggendo Callisto Giavazzi

introduzione

Per scrivere il testo da inserire in questa pagina, ho ripreso in mano il libro: 330 pagine fitte, descritte nella introduzione firmata da Giorgio Rumi. Per leggerla, basta un clic sul pulsante.
La reazione nel rileggerlo è stata di grande stupore.
Non mi sono meravigliata di me stessa: sono consapevole della precisione con cui svolgevo il mio lavoro di ricerca storica; tuttavia, mi ha impressionato la mole di documenti d'archivio, giornali dell'epoca, testimonianze, bibliografia in argomento che ho raccolto, esaminato e risistemato come tessere di un mosaico la cui complessità mi appare evidente oggi forse più del momento in cui ero all'opera per ricomporlo.

qualità, valori

Non possiedo altre immagini di Callisto Giavazzi e della sua famiglia oltre a questo ritratto che apre il volume.
Neppure le ho viste durante la consultazione dell’imponente archivio di famiglia sulla base del quale ho potuto ricostruire la vita, il tempo e lo stato dei luoghi in cui Callisto Giavazzi ha operato.
Ho aperto e letto i diari, suo e di sua moglie Teresa, la corrispondenza tra loro e con diversi esponenti laici ed ecclesiastici del loro ambiente, ma non ho visto altre immagini, a riprova del tratto riservato e discreto di tutta la famiglia.
Disse di lui Filippo Meda: «Uomo di singolare equilibrio, di indiscussa sincerità, di fedeltà sicura alle tradizioni migliori dell'azione popolare cristiana, non smarritosi nelle arrendevolezze vili ed interessate dell'oggi fortunoso».
Era il 1925. Due anni prima, nell'estate 1923, Callisto Giavazzi aveva già lasciato il Partito Popolare.

nella crisi dell'Italia liberale

Callisto Giavazzi è stato un esponente del notabilato italiano.
Non nobiltà, cui lo sguardo comune si rivolge con sufficienza quando non con disprezzo, spesso erroneamente. Notabilato nel senso di autorevolezza fondata su dirittura, coerenza, forza morale e lealtà di comportamento.
Proprietario terriero, amministratore della cosa pubblica, politico e studioso si è mosso in un dedalo di ambienti e in un intrecciarsi di avvenimenti sovrapposti che la biografia ripercorre cambiando di volta in volta il punto di vista, in profondità verso l’infinitamente piccolo che diventa emblematico dell’infinitamente grande.
Il patrimonio di famiglia si basa su un'attività imprenditoriale legata alla terra. Proprietario terriero a Verdello e produttore di baco da seta, Giovanni Giavazzi - padre di Callisto e di altri quattro figli, due dei quali sarebbero diventati sacerdoti - applica metodi di selezione naturale per ricavare una razza robusta che resiste alla pebrina e alle brinate. Callisto studia a Bergamo al collegio vescovile di Sant'Alessandro e poi si laurea in legge, con una tesi sulla rappresentanza proporzionale.
Legatissimo a mons. Simon Pietro Grassi, parroco di Verdello e poi vescovo di Tortona con cui resta sempre in corrispondenza, presta consulenza, svolge mediazioni tra proprietari, associazioni cattoliche e clero, è noto per la schietta lealtà delle scelte e raccoglie consensi unanimi in ogni attività intrapresa tanto da essere considerato un modello di pubblico amministratore in consiglio comunale e provinciale.
Diventa presidente dell’ospedale di Bergamo nel 1907 e ne inizia la riforma secondo criteri innovativi che moltiplicano medici e strutture a disposizione dei malati, si occupa della costruzione della nuova sede gestendo nel 1914 una somma pari a £ 1.115.000. La sua presidenza è interrotta dalla guerra.

insubordinata diocesi modello

Il territorio della Bergamo cattolica in cui Giavazzi nasce, appare come una diocesi modello, e tuttavia insubordinata a causa di una precisa e originale identità storica, di cui il clero è tratto distintivo speciale.
Sono molti i sacerdoti – dal parroco al vescovo – che si incontrano in questa vicenda; la loro storia, il loro ruolo, persino il carattere di ciascuno hanno un peso nello svolgersi delle vicende private e pubbliche.
Tratto peculiare, indispensabile per comprendere molti aspetti di quella società, era il forte vincolo tra clero e popolo: la parrocchia era considerata custode delle virtù individuali e collettive, clero vescovi e azione sociale erano più che bastevoli, lo Stato risultava superfluo.
L’ambiente sostanzialmente conservatore era però attento alla convergenza fattiva degli interessi di tutti, con punte di organizzazione sindacale in cui i parroci ebbero un ruolo cruciale.
Si trattava di uomini battaglieri, capaci di "gestire" masse di contadini e/o operai, motivo per cui la loro influenza si doveva tenere nella dovuta considerazione.
Il più famoso di tutti fu senza dubbio don Clienze Bortolotti che assume la direzione del giornale L'Eco di Bergamo nel 1904, anno in cui muore il vescovo Guindani, che - già sospetto di liberalismo per il legame con mons. Bonomelli - aveva dato al laicato cattolico una notevole spinta.
Segretario personale del nuovo vescovo Radini Tedeschi, che nella sua opera si ispira al milanese card. Ferrari sarà mons. Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Questo per tratteggiare brevemente l'influenza di certe personalità sull'ambiente in cui Giavazzi si muove.
Mons. Luigi Maria Marelli guida la diocesi negli anni della sua attività pubblica, quando i cattolici bergamaschi, preso atto di non poter evitare lo Stato, decidono di entrarci per cambiarlo e sono i primi a derogare alla regola papale dell'astensione dalle urne.

Teresa Giavazzi, la virtù della ritiratezza

Nel 1911 Callisto Giavazzi sposa Teresa Brambilla di Civesio.
Figlia di Gaetano Brambilla noto esponente del patriziato cattolico interansignete milanese, nipote per parte di madre del generale Carlo Porro, secondo di Cadorna, è l'incarnazione della virtù della ritiratezza. Sente in casa Giavazzi la stessa unione di famiglia, il medesimo spirito cristiano che respirava a casa propria, nonostante non nasconda nelle sue considerazioni che il passaggio da Milano a Verdello sia stato un vero e proprio salto e le manchi l'esercizio della carità cui era abituata. Però trova nel marito il «compenso di tutto» e un avvenire sicuro.
Ragionano insieme sulla guerra, sull'ipotesi di un arruolamento volontario da parte di Callisto che sente il «perché della guerra» e si infervora pensando all'effetto vivificante che potrebbe avere sulle truppe italiane dopo Caporetto la presenza combattente di commilitoni più anziani: «Non sarei mai io che ti dice resta [...] ma da questo a dire va c'è un passo». Non usa la stretta parentela con lo zio generale per evitare al marito il richiamo alle armi, e quando Callisto deve partire cerca solo di assicurarsi che lo tenga d'occhio.
Assegnato in un primo momento ai tribunali militari, dove segue i processi per diserzione, finisce in trincea sul Carso con la Brigata Regina accampata a Versa ed è proposto per una ricompensa a seguito a un'azione di guerra.

la politica

Al ritorno dalla guerra Giavazzi affronta nuove responsabilità. Come proprietario della maggiore azienda privata direttamente gestita a mezzadria in quel periodo nella media e bassa bergamasca, ha una posizione delicata che influenza quella di altri proprietari. Nel 1919, mentre le dimostrazioni agrarie si diffondono ovunque e i contadini rivendicano l'affitto, realizza nella sua proprietà un patto di mezzadria con compartecipazione agli utili da parte del colono.
Si impegna nel settore sindacale cattolico con grande capacità di mediazione a salvaguardia dell’interesse di tutti. Questo suo pretendere chiarezza e ristabilire la verità delle vicende è però considerato dai vertici del Partito popolare, in una lettera di don Sturzo, una perdita di tempo che era opportuno considerare superata. Nello scambio di lettere relativo è già evidente il distacco dal partito come la piccolezza assunta dalle vicende locali nell’autunno 1922, a ridosso della marcia su Roma.

un sofferto dovere civile

Tra il 1919 e il 1920 Teresa Giavazzi segue le perplessità del marito che si appresta a entrare in politica, ambiente e ruolo dal quale aveva cercato di tenersi lontano il più a lungo possibile. Secondo lei, Callisto è fatto per la vita pubblica e lo sostiene nella sofferta decisione di candidarsi, rilevando che la sua candidatura raccoglieva consensi senza che muovesse un dito. Decide però di non seguirlo a Roma: «Conclusione del mio soggiorno a Roma è stata questa: ho visto l'ambiente nel quale vive Callisto e si divide in due parti: la parte esterna di parata, il regno delle ambizioni, delle rivalità e questa non è degna di un uomo di carattere. Ma coinvolti in quest'ambiente vi sono uomini di valore sia intellettuale morale e religioso: spesso si riconoscono, spesso si raggruppano e la riunione di questi spiriti e intelligenze superiori forma un retroscena così scelto che fa vivere in altra aria, quell'aria che alberga la testa e le idee. Questa si intende non è la Camera, anzi sembra che queste stesse persone entrando in quella sala non siano più nulla». Callisto le si rivolge nei non rari momenti di sconforto che lo prendono a contatto con gli ambienti politici romani: «lascia che il mondo faccia la sua strada che non è da stupire sia alle volte diversa dalla nostra».

dal Parlamento

La tesi discussa da Giavazzi sulla rappresentanza proporzionale non resta uno studio accademico ma diventa presupposto dell'impegno politico. Studia, elabora, propone, discute mentre il disegno di legge Acerbo diventa legge dello Stato.
Il partito che nella tesi appare la positiva manifestazione del diritto di associazione, la struttura in cui coordinare divergenze di opinione, si rivela la fonte di amarezza più grande: una dimensione in cui non si ricobbe mai completamente.
«Infine ciò che onora non è il diventar deputato, ciò che a molti riesce anche senza averne il merito, ma l'esser dei migliori riputato degno di tal onore, e meglio ancora la nobile alterezza di declinarlo, quando un insieme di circostanze può persuadere che per la causa del bene si potrà rendersi più utili riservandosi a tempo migliore».

all'appartata geografia bergamasca

A Teresa confida di sentire e di vivere la politica, ma di non saperla sostenere esteriormente.
Anche in lei si acuisce una sensazione di abbattimento fisico e morale indotto dalla situazione generale.
Il suo diario si chiude alla fine di gennaio 1930: «non so dove ho letto in questi giorni che i grandi dolori sono silenziosi». Muore nel 1932.
Giavazzi cerca una dimensione più consona alla propria operosità e la trova nelle attività dello spirito esplicate in Azione Cattolica.
Resta protetto nell'appartata geografia della campagna e delle valli fino a quando la guerra e la realtà dei campi di concentramento in cui è internato il figlio Giovanni non fiaccano le sue ultime energie.
Riesce a riabbracciarlo ma il mondo nuovo che ribolliva di sentimenti ed energie pare quasi stridere con lo stato d'animo di Callisto Giavazzi.