IA, tu non mi avrai
Ebbene, confesso: le parole intelligenza artificiale hanno l’effetto dell’orticaria su di me che, come Abel Wakaam sa, utilizzo ancora un telefono con poche necessarie funzioni: telefona e al massimo scatta una fotografia senza neppure datarla, non filma e non ha applicazioni particolari, né WhatsApp. Da qualche tempo lui, Abel, cerca di convincermi a sostituirlo con qualcosa di più attuale, ma temo che proponendomi la lettura del suo romanzo
Jerusalem Enigma. Artificial Intelligence
abbia segnato un autogol difficile da pareggiare.
Perché?
Non è pensabile che io rischi di mettere la mia vita, il mio privato, i miei amici, il mio mondo alla mercé di una macchina ficcanaso, presuntuosa, permalosa, pignola, manipolatrice conto terzi ma forse anche in proprio, che gestisce e decide per me e di me. Non se ne parla proprio! Sembrerebbe impossibile evitarlo, ma non è così; dato che il telefono è il tramite della IA, non ne possiederò mai uno perché in fondo è facile evitare danni: «basta sottrarsi a tutto ciò che è tecnologico».
Perché?
Non è pensabile che io rischi di mettere la mia vita, il mio privato, i miei amici, il mio mondo alla mercé di una macchina ficcanaso, presuntuosa, permalosa, pignola, manipolatrice conto terzi ma forse anche in proprio, che gestisce e decide per me e di me. Non se ne parla proprio! Sembrerebbe impossibile evitarlo, ma non è così; dato che il telefono è il tramite della IA, non ne possiederò mai uno perché in fondo è facile evitare danni: «basta sottrarsi a tutto ciò che è tecnologico».
Questa mia reazione istintiva rende l’idea di quale è stato l’impatto del romanzo.
Coinvolgente al punto di faticare a distinguere realtà e invenzione, in prima battuta spaventa per l’apparente (ma non avveniristico) controllo che una IA pare in grado di esercitare su chiunque; poi ne illustra le falle, infine mostra quali sono le superiori capacità delle intelligenze non artificiali e anche i loro intenti e fini: soldi, potere, controllo e persino l’ambizione di riscrivere la Storia, di rivoluzionare certezze bibliche.
Come si insegnava un tempo, quando il mezzo si rivela un’arma potente, tutto è affidato alle mani e di chi la possiede e la usa.
La vicenda (che di proposito non riassumo) si avvolge come un gomitolo di lana lasciato tra le zampe imprevedibili di un gatto, si intreccia e poi si dipana ai giorni nostri, tra lo scorso marzo e il prossimo luglio; si muove tra Israele, Kenya, Francia, Italia e Svizzera; coinvolge una dinamica, direi intrepida, psicologa che si occupa di testare appunto le IA, uno scrittore, un fotografo, una monaca, rassicurante emblema di saggezza e tutela della tradizione, e un misterioso quanto onnipotente – o presunto tale – uomo d’affari, il proprietario, ma sarebbe meglio dire padrone, di xAx, l’intelligenza artificiale che propone e dispone, organizza e sa sempre tutto, o quasi.
Costruito in prevalenza con i dialoghi, si avvicina molto per l’incalzare degli eventi alla sceneggiatura di un film di azione, spionaggio e sentimenti, veri, umani e vittoriosi; una vicenda che tiene incollati alla poltrona in attesa che l’enigma si risolva.
La vicenda (che di proposito non riassumo) si avvolge come un gomitolo di lana lasciato tra le zampe imprevedibili di un gatto, si intreccia e poi si dipana ai giorni nostri, tra lo scorso marzo e il prossimo luglio; si muove tra Israele, Kenya, Francia, Italia e Svizzera; coinvolge una dinamica, direi intrepida, psicologa che si occupa di testare appunto le IA, uno scrittore, un fotografo, una monaca, rassicurante emblema di saggezza e tutela della tradizione, e un misterioso quanto onnipotente – o presunto tale – uomo d’affari, il proprietario, ma sarebbe meglio dire padrone, di xAx, l’intelligenza artificiale che propone e dispone, organizza e sa sempre tutto, o quasi.
Costruito in prevalenza con i dialoghi, si avvicina molto per l’incalzare degli eventi alla sceneggiatura di un film di azione, spionaggio e sentimenti, veri, umani e vittoriosi; una vicenda che tiene incollati alla poltrona in attesa che l’enigma si risolva.