il mio Due Calzini
Tuona.
Il primo cielo di questo nuovo autunno pare un quadro astratto di forme grige solo in apparenza ferme. Le nuvole più minacciose e scure sono a levante, concentrate sulla cima del rilievo sul quale è sdraiato il nostro orto. È tutto in sicurezza, penso. Una caligo densa scende a valle, come una valanga copre piano le cime degli alberi. Pioverà e le fragole rifiorenti si gonfieranno d’acqua. Ogni giorno ci diciamo che saranno le ultime e invece no, loro maturano imperterrite.
Sono da poco passate le sette; mi lascio tutto questo nero alle spalle e percorro con Giatt il consueto tragitto: mentre lui annusa qui e là in cerca dei suoi riferimenti, sciolti dalla pioggia della notte, evito le pozzanghere, mi metto a distanza di sicurezza dalle auto che giocano come i bambini piccoli a chi schizza di più. L’umidità è soffocante e mi appoggio, come a un bastone, alla forza robusta del mio piccolo cane che tira, trascina, traina il mio passo in cerca di sentori tra terra e cielo ma non è mai il punto giusto… Dai Giatt, su… Lo sollecito, poi mi pento: è il giro del mattino, concedigli il suo tempo, lui non bussa alla porta del tuo bagno.
E benedetto indugiare del caso che sovraintende gli accadimenti.
Quando Giatt prende la direzione del ritorno, lo rincuoro, lo premio con una piccola pacca sulla spalla: bravo! Attraversiamo la strada di casa, una provinciale che convoglia il traffico in uscita dal paese verso il capoluogo. Supero di nuovo la pozzanghera larga fino al centro della carreggiata e mi sposto a destra.
Inizia a piovere, apro l’ombrello.
E lo vedo.
Appare dalla profondità di una distanza che la mia miopia fatica a raggiungere, tra i vapori della pioggia e dell’umido, va a passo svelto, con la postura tranquilla di qualcuno che cammina per la propria strada, è in viaggio .
Stento a crederlo vero, ma lo è.
Nulla possono le tante letture che pensavo assimilate sul comportamento più corretto da tenere nel caso in cui…
«Un lupo!»
Lo dico piano, con la voce rotta dalla gioia, neanche fossi una bambina, ma lui mi sente, figurati! Mi aveva già vista, aveva già individuato il possibile rifugio in un piccolo andito erboso sotto una casa; prima di incrociarmi, la strada tra noi, si ferma lì, al riparo della chioma di una pianta di cachi e guarda me che lo osservo e lo riconosco: mi pare giovane, molto simile a quelli che vedo nei filmati catturati dalle fototrappole (benedette!), i colori mischiati: grigio, focato, bianco; le orecchie, la forma del muso, gli occhi! E lo sguardo!
Il primo cielo di questo nuovo autunno pare un quadro astratto di forme grige solo in apparenza ferme. Le nuvole più minacciose e scure sono a levante, concentrate sulla cima del rilievo sul quale è sdraiato il nostro orto. È tutto in sicurezza, penso. Una caligo densa scende a valle, come una valanga copre piano le cime degli alberi. Pioverà e le fragole rifiorenti si gonfieranno d’acqua. Ogni giorno ci diciamo che saranno le ultime e invece no, loro maturano imperterrite.
Sono da poco passate le sette; mi lascio tutto questo nero alle spalle e percorro con Giatt il consueto tragitto: mentre lui annusa qui e là in cerca dei suoi riferimenti, sciolti dalla pioggia della notte, evito le pozzanghere, mi metto a distanza di sicurezza dalle auto che giocano come i bambini piccoli a chi schizza di più. L’umidità è soffocante e mi appoggio, come a un bastone, alla forza robusta del mio piccolo cane che tira, trascina, traina il mio passo in cerca di sentori tra terra e cielo ma non è mai il punto giusto… Dai Giatt, su… Lo sollecito, poi mi pento: è il giro del mattino, concedigli il suo tempo, lui non bussa alla porta del tuo bagno.
E benedetto indugiare del caso che sovraintende gli accadimenti.
Quando Giatt prende la direzione del ritorno, lo rincuoro, lo premio con una piccola pacca sulla spalla: bravo! Attraversiamo la strada di casa, una provinciale che convoglia il traffico in uscita dal paese verso il capoluogo. Supero di nuovo la pozzanghera larga fino al centro della carreggiata e mi sposto a destra.
Inizia a piovere, apro l’ombrello.
E lo vedo.
Appare dalla profondità di una distanza che la mia miopia fatica a raggiungere, tra i vapori della pioggia e dell’umido, va a passo svelto, con la postura tranquilla di qualcuno che cammina per la propria strada, è in viaggio .
Stento a crederlo vero, ma lo è.
Nulla possono le tante letture che pensavo assimilate sul comportamento più corretto da tenere nel caso in cui…
«Un lupo!»
Lo dico piano, con la voce rotta dalla gioia, neanche fossi una bambina, ma lui mi sente, figurati! Mi aveva già vista, aveva già individuato il possibile rifugio in un piccolo andito erboso sotto una casa; prima di incrociarmi, la strada tra noi, si ferma lì, al riparo della chioma di una pianta di cachi e guarda me che lo osservo e lo riconosco: mi pare giovane, molto simile a quelli che vedo nei filmati catturati dalle fototrappole (benedette!), i colori mischiati: grigio, focato, bianco; le orecchie, la forma del muso, gli occhi! E lo sguardo!
Ne sono certissima: è un lupo.
Quante volte ho desiderato vederne uno vero, vivo, vicino!
È a neppure dieci metri da me, impalata, con l’ombrello aperto; Giatt al guinzaglio lo osserva con le orecchie tese. Lui, il lupo, è guardingo e ci tiene d’occhio: sposta il peso sulle zampe anteriori, da una all’altra, la testa segue questo movimento e il naso si muove su e giù a distinguere gli odori.
Non resisto alla tentazione di parlargli: mi accuccio piano all’altezza del suo sguardo e glielo dico: non ti faccio nulla, non temere, sono solo tanto felice per averti incontrato.
Giatt resta immobile di fianco a me.
Lui non scappa, non arretra ma – ovviamente – non si avvicina.
Quante volte ho desiderato vederne uno vero, vivo, vicino!
È a neppure dieci metri da me, impalata, con l’ombrello aperto; Giatt al guinzaglio lo osserva con le orecchie tese. Lui, il lupo, è guardingo e ci tiene d’occhio: sposta il peso sulle zampe anteriori, da una all’altra, la testa segue questo movimento e il naso si muove su e giù a distinguere gli odori.
Non resisto alla tentazione di parlargli: mi accuccio piano all’altezza del suo sguardo e glielo dico: non ti faccio nulla, non temere, sono solo tanto felice per averti incontrato.
Giatt resta immobile di fianco a me.
Lui non scappa, non arretra ma – ovviamente – non si avvicina.
L’intenzione espressa dagli occhi è chiarissima: te ne vai o no?
Sarei stata lì per sempre, avrei voluto avere il tempo di John Dunbar e Due Calzini, ma lui (il mio Due Calzini) ha il diritto di non essere spaventato, di proseguire la sua strada senza intralci umani oltre quelli prevedibili, senza pericoli, gli manca solo di dover ragionare su una che si accoscia e gli parla.
Decido di andarmene, mancano poche decine di metri al cancello di casa.
Però non resisto, mi giro a guardare e lo rivedo: spuntano dal limitare dello spazio erboso, dal bordo di una siepe, il suo muso, la punta di un orecchio e lo sguardo che mi controlla.
L’ho salutato con la mano e non mi sono più girata, per rispetto.
Sarei stata lì per sempre, avrei voluto avere il tempo di John Dunbar e Due Calzini, ma lui (il mio Due Calzini) ha il diritto di non essere spaventato, di proseguire la sua strada senza intralci umani oltre quelli prevedibili, senza pericoli, gli manca solo di dover ragionare su una che si accoscia e gli parla.
Decido di andarmene, mancano poche decine di metri al cancello di casa.
Però non resisto, mi giro a guardare e lo rivedo: spuntano dal limitare dello spazio erboso, dal bordo di una siepe, il suo muso, la punta di un orecchio e lo sguardo che mi controlla.
L’ho salutato con la mano e non mi sono più girata, per rispetto.
è accaduto questa mattina, 22 settembre 2023 a Levanto.