le prugnette di San Giovanni

Appena Milano ai primi caldi diventava invivibile, portavo i miei a Levanto, anche per approfittare di qualche giorno al mare per me, libera da sessioni di esami di licenza media o da inutili fruste riunioni.
Ognuno aveva un compito preciso: mia madre gestiva casa, papà usciva in ricognizione (giornale, focaccia, amici e chiacchiere), io mi occupavo di Dog e della spesa di frutta e verdura.
Usavo un cavagno, un vecchio cestino di paglia intrecciata, leggero ma robusto e capiente. Con quello, al braccio o infilato nel portapacchi della bicicletta, me ne andavo sotto la volta dei tigli ormai fronzuti di corso Roma e raggiungevo il mio punto di riferimento assoluto: Graziella e Sandro. Li avevo trovati lì, un giorno, a occupare il posto, rimasto vuoto, della mia amata Antonietta. Come con lei, la sintonia era stata immediata.
«E questi?» chiesi una volta a Sandro dopo i saluti di rito. Un cavagno più grande e robusto del mio, poggiato in fondo al banco, nella posizione defilata delle cose buone per pochi buongustai, conteneva piccoli frutti ovali che non avevo mai visto prima.
«Prugnette di San Giovanni» rispose Sandro e, alla mia faccia interrogativa, me ne porse una: «Assaggia!»
Mi scoppiò in bocca una passione golosa e totale: piccole, verdi, giallognole, gialle più mature, quasi ambrate, dolci con uno spiccato retrogusto amaro che invoglia a mangiarne una via l’altra quasi come le ciliegie. La mia espressione goduta e masticante, divertì Sandro che ridendo, con gli occhi azzurri vispissimi quasi chiusi, osservò le smorfie di piacere trasmesso dalle papille:
«Le prendo, Sandro!»
Mi passò, come si usa ancora qui, il sacchetto di carta.
Lo riempii all’orlo:
«Fai attenzione al mal di pancia…» mi disse, fingendo una seriosa preoccupazione mentre lo pesava e calcolava il prezzo. Intanto, Graziella, chiuso il conto, radunò come sempre gli odori (sedano, prezzemolo, erbe varie) da aggiungere alla spesa, con un mazzetto di lattughino tenero, delizioso. Erano tutti prodotti della loro terra e io, ormai, puntavo solo quelli.
Le prugnette di San Giovanni duravano poco, giusto i giorni prima e dopo la festa del santo che detesta gli inganni: San Giuànn fa minga ingànn, recita il proverbio nella zona in cui sono nata.
Oggi Graziella e Sandro hanno ormai lasciato il banco al mercato; tra noi, più salda, c’è l’amicizia di sempre, il rapporto schietto, lo scambio sincero senza bilance per affetti e prodotti. E la possibilità di vederci ogni giorno perché viviamo nello stesso paese.
«Quest’anno, niente nespole…» ci ha detto a maggio.
«Te le portiamo noi: il nostro nespolo è stracarico».
Bizzarrie di piante che sto imparando a osservare per tradurre i segnali in esigenze alle quali rispondere.
Non vedo l’ora che fioriscano le nostre giovani piantine di prugnette di San Giovanni. Non vedo l’ora che diano quelle meraviglie ambrate e dolci per poterne portare a Sandro e Graziella.
Al momento, mi trovo nella privilegiata condizione di aprire la porta di casa proprio a lui, Claudio, amico della mia adolescenza, che abita di fronte, che ha l'orto confinante con il nostro, che mi ha regalato quelle piantine, che bussa e mi porge un sacchetto colmo di delizie verdognole e gialle. Non avrei potuto ricevere dono più bello, nel giorno dedicato al nemico degli inganni.
Si consolida la consapevolezza di essere fortunata, di vivere circondata da persone per bene, di aver lasciato nel loro “brodo” [eufemismo] personaggi con i quali non ho nulla a che spartire.